A volte è utile confrontare approcci teorici che stanno agli antipodi tra loro, come la psicoanalisi e la psicologia cognitivo-comportamentale prendendo quanto di utile vi sia nelle due filosofie per meglio comprendere il fenomeno ed introdurre un modello pratico della natura degli attacchi di panico. Uno scopo importante di un tale modello è quello di rendere più efficaci gli sforzi per affrontare il problema, non solo dal punto di vista del clinico, ma anche e soprattutto dalla persona che soffre di attacchi di panico.Lo scopo secondario dell’impianto conoscitivo teorico del modello è quello di sottolineare l’importanza della psicoterapia per la risoluzione del sintomo in questione.
Gli attacchi di panico sono il fenomeno più superficiale di un problema che può appartenere a tipologie molto diverse. Oggigiorno, per una questione prevalentemente pratica, con questi termini vengono comprese tutta una serie di fenomenologie ansiose che abbiano una certa risonanza nel corpo, i cosiddetti correlati neurovegetativi, quindi è evidente che le cause possono essere molto varie. A causare gli attacchi di panico può esserci un vero disturbo di panico, come lo definisce il manuale diagnostico, oppure una fobia specifica, la fobia sociale o si può trattare ancora di ansia libera con somatizzazioni.
Due modi opposti di guardare la stessa cosa
Vi sono diverse teorie che possono spiegare il fenomeno degli attacchi di panico. A seconda del punto di vista dal quale si vede il problema, si possono prendere in considerazione soprattutto il sintomo in sé oppure le cause nascoste e a volte machiavelliche che sottostanno al fenomeno. Tra questi due approcci antitetici prenderemo in considerazione solo quello derivato dal comportamentismo e quello derivato dalla psicoanalisi, sia perché sono i più importanti da un punto di vista storico, sia perché da questi ne derivano molti altri.
Gli attacchi di panico secondo la teoria dinamica. Agli inizi del 1900 Sigmund Freud formulò quella che allora era conosciuta come la teoria idraulica delle pulsioni e che in seguito verrà meglio definita come teoria dinamica. In sostanza si tratta di ipotizzare la mente umana con la sua base biologica che richiede continuamente attenzione secondo quelli che sono i suoi bisogni primari, bisogni dunque che l’uomo condivide con gli altri animali. Stiamo parlando di mangiare e bere, dormire, riprodursi. Il tutto regolato secondo la quantità del giusto tipo di ormoni nell’organismo. Siccome nell’uomo, al contrario della maggior parte degli altri animali, gli ormoni che permettono l’accoppiamento sono praticamente sempre in circolo, ecco che, una volta soddisfatti i bisogni più impellenti come sfamarsi o dissetarsi, la ricerca di stimoli più o meno erotici è qualcosa che è sempre presente. Ora, sia che vogliamo credere che Freud fosse nel giusto quando parlava di istinti incestuosi eccetera, sia che siamo inclini a immaginare che volesse semplicemente proporre un’idea sovversiva per facilitare che si parlasse della sua psicoanalisi, dobbiamo ammettere se non altro che effettivamente il sesso, come la fame e la sete, è qualcosa con cui tocca confrontarsi quotidianamente, nella sua versione reale o in quella simbolica (quella, cioè, in cui la realtà è mediata dal linguaggio).
Per meglio comprendere la teoria dinamica si può pensare a questa base biologica della mente come ad un qualcosa che produce una speciale energia vitale che Freud pensò di chiamare libido. Probabilmente fino a questo punto ancora non vi è una grande differenza tra l’uomo e i suoi cugini animali. Solo che l’uomo ha in più una cosa che lo rende veramente molto diverso dagli altri animali: il linguaggio. Fino a non molto tempo fa si discuteva se è il giudizio che ha portato il linguaggio o il contrario. Ebbene uno dei maggiori sostenitori della psicoanalisi moderna, Jaques Lacan, non ha avuto dubbi in proposito, spingendosi fino a sostenere che l’inconscio è essenzialmente un luogo linguistico.
Dunque, che cosa mai può accadere quando è la stessa mente, che contiene una base biologica, a fornire sia queste pulsioni sia, nello stesso tempo, anche strumenti linguistici a tenere le briglie? Quando si sogna l’inconscio produce simboli, spostamenti, condensazioni di significati, creando nuove associazioni ogni volta. Per la maggior parte tali associazioni restano inconsce, ma non per questo meno attive. A volte, come ci insegna Freud, quando alcune pulsioni risultano inaccettabili intervengono dei meccanismi di trasformazione dei significati, che possono traslare e sommarsi, combinandosi in vario modo.Secondo la teoria dinamica, il risultato finale di un desiderio inaccettabile potrebbe essere che si finisca con l’avere una paura irrazionale di un animale o un oggetto innocui, scatenando una fobia.
La psicoanalisi presta molta attenzione a quei comportamenti che definisce nevrotici.A volte capita che ci si ritrovi a vivere una vita a cui in realtà non si è mai appartenuti o a cui non si appartiene più. Quando capita che si sceglie un certo lavoro che inizialmente era in grado di elettrizzare, ma che poi a poco a poco non va più a genio, quando ci si sposa perché si è innamorati e poi dopo un po’ di tempo le cose cambiano, perché succede? Uno dei motivi, dice la psicoanalisi, potrebbe essere che si sono fatte alcune scelte per i motivi sbagliati. Siccome l’essere umano deve fare i conti con una specie di angoscia permanente, connaturata, l’individuo sceglie a volte più per impulso di contrastare questa angoscia che per un vero e proprio desiderio. Un po’ come se fosse una favola che ci si racconta. E quando capita che i fatti della vita reale che accadono non sono coerenti con la favola, la sua trama della favola comincia a sfilacciarsi, ed ecco che l’angoscia fa nuovamente capolino, e il nostro inconscio per coprire questa angoscia primaria crea il sintomo.
Fino a non molto tempo fa la psicoanalisi trattava gli attacchi di panico, come qualunque altro sintomo, nello stesso modo in cui un medico potrebbe guardare il termometro che misura la temperatura del paziente che vuole farsi curare un’influenza. Egli era interessato soprattutto a quello che fa nascere questo sintomo e lo sostiene, cioè al contesto nevrotico in cui il soggetto si trova.Oggi l’attenzione dell’analista è per lo più cambiato riguardo al sintomo, ma questo viene visto comunque come un mezzo che il paziente ha per andare ad analizzare le cause più profonde che fanno sì che il sintomo possa insorgere.Dunque l’indagine analitica parte dal sintomo per andare a scandagliare la psiche più profonda attraverso i contenuti propri del soggetto e, a seconda della sua struttura e quindi di quale sia il motivo che sottende gli attacchi, ci sarà un certo tipo di andamento dell’analisi e una particolare modalità di decorso del sintomo. Si dice che per un’analisi portata a termine ci vogliono anni. Questo è sicuramente vero per quelli che sono gli obiettivi impliciti della psicoanalisi, ma spesso non vale per il sintomo che porta in prima istanza ad intraprendere un percorso analitico. Gli attacchi di panico, conseguenti a quello che il manuale diagnostico chiama disturbo di panico, per esempio, sono un sintomo che tende ad avere un ciclo di vita relativamente breve, nel contesto psicoanalitico, se preso nella sua particolare dinamica.